venerdì 16 luglio 2010

"Luce, pura" di Nicola

-racconto breve-
...
Alle mie tre donne,
Passato,Presente e Futuro.
...


Qualcuno, da qualche parte della città, stava esultando per una vittoria appena ottenuta.
Qualche squadra di calcio aveva conquistato chissà quale trofeo in quella afosa serata di maggio. Umidità spropositata. Unico rimedio per non ritrovarsi improvvisamente madidi di sudore: rimanere fermi, assolutamente fermi. Per questo motivo se ne stava seduto lì, nel cuore della Bologna che non dorme mai, appoggiando la schiena alla facciata di Santo Stefano. Si godeva il trambusto ed il vociare confuso di quei ragazzi come lui che sembravano essersi dati appuntamento tutti lì per le prove generali dell'ormai imminente estate. Quel suono confuso di chitarre, chiacchiere e risate lo aiutava a dimenticare il senso di leggero fastidio e di strisciante imbarazzo che aveva dovuto provare soltanto pochi minuti prima. A qualche centinaio di metri più in là, infatti, si era imbattuto nel bel mezzo di una fiumana di gente festante, un groviglio di corpi e sciarpe, cori da stadio e bandiere, gioia ed esaltazione.
Aveva presto decretato: "Gesù, quanto odio il calcio!".
Ed effettivamente quello sport gli piaceva davvero ben poco.
Meglio l'altetica, pensava. Muscoli che si contraggono, nervi che si stirano, polmoni che si gonfiano. Corpi che sembrano poter prendere il volo ad ogni passo, da un momento all'altro. Gli sarebbe piaciuto parecchio poter correre anche lui su di una lunga pista rossa.
A che potresti mai pensare mentre il vento ti entra negli occhi?
Che fine fanno tutti i tuoi pensieri?
Domande alle quali le eventuali risposte potevano solo essere immaginate.
Lui infatti non era affatto portato per quel genere di cose. A dire il vero, non aveva nemmeno vagamente quello che potrebbe esser definito un "fisico altetico".
Robusto e sgraziato, con le gambe corte di suo padre e le spalle larghe di sua madre. Roba da far ridere il più cesso dei dilettanti.

Portò una mano alla tasca della giacca, nell'unico movimento che si concedeva dopo minuti di sostanziale immobilità. Ne tirò fuori un pacchetto di sigarette, ne estrasse una e la portò alle labbra. Ripose il pacchetto al suo posto,mentre con l'altra mano cercava distrattamente la scatola dei fiammiferi.
Non sapeva spiegare bene il perchè, ma vedere i fiammiferi prendere fuoco era uno di quei piaceri ai quali non avrebbe mai rinunciato. Gli procurava quel genere di sensazioni che uno stupido accendino non sarebbe mai in grado di dare.
"Oh Cristo, nemmeno il tempo di muovere un braccio e già sto sudando. Finirà che di sto caldo ci rimango secco",pensava, mentre,guardando il cielo,aspirava la sua dose quotidiana di tabacco e porcherie varie.

Già, il cielo.
Quanto poteva fargli schifo quel cielo metropolitano, perennemente tinto di quel rossiccio sbiadito? Detestava la luminosità diffusa, seppur lieve, di quel cielo di città in quelle notti che non potevano esser mai buie per davvero, nemmeno a pagarle. "Ci credo che poi gli uccelli diventano scemi e cinguettano alle due di notte. -si diceva- Co sta vitaccia che so costretti a fare.."

All'improvviso pensò che quella cappa umida irrespirabile e quel cielo inguardabile, privato della sua poesia, lo facevano sentire in gabbia. Intrappolato in un mondo che finiva dentro quei vestiti, dentro quel corpo che mal si adattava a quel clima, dentro quegli occhi ai quali era stato impedito di poter vedere le stelle.
Sembrava che fuori, fuori da quelle membra, non ci sarebbe stata speranza alcuna di sopravvivenza. Pareva che la natura fosse ostile alle interferenze umane e s'attrezzava come poteva, con le sue armi, per soffocare il corpo e lo spirito. Si rese conto che quel senso d'oppressione aveva pervaso non solo il fisico,ma anche la mente. Anzi, sembrava che i suoi pensieri fossero i principali aguzzini in questo stato di confusione. Un peverso gioco autolesionista.
Lo tormentavano, non lo lasciavano sereno, non gli davano un maledetto momento di tregua.
Se solo fosse riuscito a mettere in ordine quel marasma, avrebbe sicuramente trovato un po' di fresco almeno dentro di sè.

Finì la sigaretta e decise di tirarsi su. Voleva mettere un po' di strada sotto i piedi, voleva provare a sentirsi vivo. Sentiva vibrare dentro di sè le corde tramandategli da quell'uomo che non aveva mai conosciuto se non attraverso i racconti di sua nonna. Sentiva che non poteva stare fermo lì, attendendo che la strada si facesse larga, aspettando il tempo mite e le scarpe comode. Avrebbe messo in ordine quella confusione. "Diamoci una mossa -si disse- o qui si mette male".
Si accese un'altra sigaretta, giusto per tenersi compagnia,e vagò per la città senza meta. Per ore.

Quando decise di fermarsi, alzò lo sguardo verso il cielo. Era l'alba. "Questa si che è luce, non quella porcheria rossiccia".
Si stampò un mezzo sorriso sulla faccia, giusto per tenersi compagnia, e si diresse sereno verso casa.

Finalmente luce, pura.

FINE

2 commenti:

  1. non ho potuto fare a meno di notare qualche influenza pirandelliana.... notevole anche qsto post ... bravo :D

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